Psicoterapeuta Piacenza

Le persone si muovono nel mondo nel miglior modo possibile per loro, in quel momento.

Psicologa a Piacenza

Il mio modo di guardare al disturbo

Penso che le persone si muovano nel mondo nel miglior modo possibile, per loro in quel momento. Ci sono poi momenti nella vita in cui quel modo di muoversi, che ha funzionato sino a lì, sembra non valere più, sembra non avere più lo stesso senso e lo stesso significato o sembra proprio averlo perso. È in quel momento che la persona può sentirsi spaesata, confusa, persa, disorientata, spaventata, preoccupata, irriconoscibile ai suoi stessi occhi. Ecco che per cercare di ripristinare un certo equilibrio ci si muove per ritrovare un senso alle cose e a volte lo si fa evitando di fare delle scelte, percependosi immobili e senza più alcun entusiasmo; altre volte, al contrario, si fanno scelte poco ponderate sentendosi sull’onda dell’impulsività come se non si fosse più padroni delle proprie azioni; altre volte ancora ci si può ritrovare a saltellare da un modo ad un altro, dal fare apparentemente senza un motivo preciso, al non fare nulla… e così, si può far fronte alla difficoltà in mille altri modi. Ciò che può accomunare tutte queste espressioni diverse del disagio è il fatto che le persone si esprimono raccontando, in modi diversi, di un arresto del movimento, come se fosse terminata la strada del loro cammino sotto i loro piedi e non riuscissero più a vedere da che parte riprendere il cammino. Il disturbo, quindi, possiamo vederlo proprio come un blocco del movimento di una persona – partendo dal presupposto che le persone siano sempre in movimento nella loro vita. Questo blocco può essere raccontato in tanti modi diversi: con un senso di sospensione, di arresto, o come se ci si sentisse impantanati, nelle sabbie mobili, soffocati, in gabbia, zittiti, senza più una direzione, senza più uno scopo nella vita, allo sbaraglio. Partendo da queste percezioni, attraverso la relazione terapeutica, si cercherà di trovare strade alternative da percorrere che ci tolgano da dove siamo per dirigerci dove abbiamo immaginato durante la ricostruzione terapeutica.
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